Il profumo di Dio

Siamo a Chiuduno, sulla provinciale 91, poco prima delle 23:00 dell'8settembre 2013.
L'asfalto a terra è umido, la luce di un lampione illumina il corpo di un ragazzo coperto di sangue.
Eleonora Cantamessa, dottoressa ginecologa di Trescore Balneario è in auto con un amico mentre assiste alla scena.
Intima all'amico di fermarsi, per un medico è la legge del dovere, ma per lei è soprattutto la legge dell'amore.
"I am a doctor, be quief', "sono un medico, state calmi dice mentre, accovacciata su quel corpo ferito, presta le prime cure.
L'uomo a terra si chiama Kamur Baldev, indiano di 25 anni.
Proprio mentre presta i primi soccorsi, con la macchina a tutta velocità, sopraggiunge il fratello del giovane indiano e li investe entrambi, uccidendoli sul colpo.
I giornali, le televisioni, i social network, parlano tantissimo della vicenda, dai risvolti tragici ma anche di grande umanità.
Come al solito non mancano le scontate banalità dei nostri politici che, come avvoltoi, si nutrono delle disgrazie degli altri, e da anni ci fanno respirare solo odio, diffidenza verso "l'altro” inteso come straniero pur di mantenere quel bacino di voti che permette loro di continuare a vivere dentro le loro torri d'avorio, lontani, molto lontani dai problemi della gente.
Nel leggere e nel documentarmi su questa vicenda, il 13 settembre, pochi giorni dopo il tragico evento, mi capita di leggere sul " Corriere della sera" una lettera, una bellissima lettera firmata da Mariella Armati, mamma di Eleonora.
L'ha scritta una delle poche persone autorizzate a provare rabbia, odio, invece lei usa parole di pace, d'amore, non c'è risentimento, non c'è collera ne rancore.
E' una bellissima lezione, semplice e toccante, di umanità dentro un immenso dolore.
Leggendo questa lettera provo un senso di inadeguatezza nello scoprire la grande forza interiore, la delicatezza e la sensibilità di questa mamma che si manifestano concretamente dentro quelle parole "...mi è stato chiesto cosa provo.
Non provo né rabbia, né odio, non do appellativi alla persona che ha investito Eleonora, di lui penso che sia un povero disgraziato..".
Poi, forse per timore di aver usato una parola troppo offensiva nei confronti dell'assassino della figlia, precisa: "...1o chiamo disgraziato, ma senza senso dispregiativo, ma solo perchè caduto in disgrazia, come me...". Dopo aver letto questa lettera nasce in me il desiderio di incontrare questa mamma.
ll mio desiderio si avvererà l'8dicembre 2013, a tre mesi esatti dalla morte di Eleonora.
L'incontro avviene nella loro casa a Trescore Balneario.
Entrando in casa mi accoglie il sorriso di Eleonora, dentro quella gigantografia messa davanti al divano dove di solito si siedono i suoi genitori, penso messa lì apposta per farli sentire meno soli.
E' con quel sorriso che Eleonora dava il benvenuto alla vita di quei tanti bambini che faceva nascere, è lo stesso sorriso con il quale ha consigliato, rassicurato, ha dato certezze a tante mamme che, in situazioni di bisogno quali possono essere l'inizio o il proseguimento di gravidanze, potevano vedere in lei un aiuto concreto.
E' bello stare ad ascoltare la signora Mariella e suo marito Mino parlare di Eleonora ed è proprio nel sentirli raccontare di queste storie difficili che mi viene in mente quella storiella (che è un po'la metafora della nostra vita) che narra di quel carretto siciliano colmo di arance, tirato da un asino che arranca, che fatica su per quella salita.
Ad ogni strattone alcune arance cadono, ruzzolano per terra, vengono prese a calci senza che nessuno le raccolga.
Il "droup out'li chiamava Don Tonino Bello, che significa "caduti fuori".
Drop out è una variabile linguistica del termine emarginati, indica tutto quel mondo variegato di coloro che, essendo caduti dal carretto della vita, per colpa loro o per responsabilità di altri, non sono più stati aiutati da nessuno a risalire e, da soli, non ce l'hanno fatta.
Dentro quel carretto Eleonora non sceglie di stare al centro, ben protetta da tutte Ie altre arance, anche se lo avrebbe potuto fare: aveva un ottimo lavoro, una solida famiglia alle spalle, insomma aveva tutte quelle sicurezze grazie alle quali nessun sobbalzo del carretto I'avrebbe messa in pericolo, l'avrebbe fatta cadere.
Eleonora sceglie invece di stare ai bordi, vicino alle sponde del carretto e, sensibile ad ogni sobbalzo, sceglie quel posto per vedere meglio chi è in difficoltà, per poter allungare le braccia, per stringere la mano di chi sta per cadere o per poter raccogliere quell'arancia caduta prima che venga presa a calci.
E' stato proprio nel chinarsi a raccogliere uno dei tanti "drop out" che Eleonora si sporge forse un po'troppo dal carretto e uno scossone più forte del solito la fa cadere...
E' venuta l'ora di salutarci, la signora Mariella mi consegna un foglio con alcune sue riflessioni che vorrebbe condividere con la nostra comunità.
Sono molto contento quando accetta l'invito che le rivolgo di poter incontrare la nostra comunità per dare a tutti la possibilità di provare I'emozione nell'incontrare questa mamma e nello scoprire che esistono ancora persone capaci di una così grande forza interiore e di un grande amore, per cui "PERDONO' non è una parola di circostanza messa sulle pagine dei giornali per fare bella figura ma è un modo di vivere.
Un grazie di cuore ai coniugi Mariella e Mino Cantamessa per avermi accolto nella loro casa, per avermi ospitato dentro le pieghe della loro sofferenza, ma soprattutto grazie perchè, anche se per me è faticoso vedere e sentire Dio, è stato entrando nella loro casa e incrociando il sorriso di Eleonora che ne ho respirato il profumo.

Umberto Chiesa